Da Trump a Banksy passando per Gino, il concerto di Emanuele Galoni è uno show intenso, rock, d'autore e ispirato dentro un Monk strapieno, tra ballate struggenti e testi profetici che colpiscono nel segno. Sono i buoni propositi di un artista maturo e pronto, se vorrà, al grande salto.
GALONI live al Monk di Roma “Concerto Presto”
sabato 1 marzo 2025 ore 19
Il “concerto presto” è una delle più azzeccate e pregevoli formule di quel live club speciale che è il Monk di Roma. Sarà l’età che avanza di chi scrive, ma soprattutto in giornate come quelle del weekend far cominciare un concerto alle 19 e terminarlo entro le 21 (come abitudine DA SEMPRE nei club anglosassoni) è il miglior modo per goderselo e poi continuare la serata commentando quello cui si è appena assistito.

Suona Emanuele Galoni, in arte solo Galoni, classe 1981, originario di Latina e da sempre attivo a Roma. Docente e cantautore, insegna e suona per vocazione e per professione. Dal 2005 ad oggi cinque album in vent'anni compresi quelli auto prodotti degli esordi che non vengono quasi mai citati nelle sue biografie ufficiali.
Certamente nell’ultimo decennio Galoni ha pubblicato tre solidi album come “Troppo Bassi Per I Podi” (2014), “Incontinenti Alla Deriva” (2018) e infine “Cronache Di Un Tempo Storto” del 2023. A quest’ultimo e intitolato il tour di successo che Galoni porta in giro dall'uscita del disco e che è tornato l’altra sera a Roma, a casa, al “suo” Monk.
Lepre, Ivan Talarico, Giancane, Luigi Mariano sono alcuni dei cantautori colleghi di Galoni che abbiamo incrociato tra il pubblico.
Pubblico delle grandi occasioni, sala strapiena, tanti addetti ai lavori ma anche semplicemente di fans.
Cosa che al Monk accade spesso è vero, perché è uno di quei (pochi) luoghi rimasti dove si propone buona musica, e chi la ama si raduna e fa massa. Ma la sensazione è stata quella di una serata importante, sin dalle prime note.
L’inizio è fulminante per chi denota ultimamente una carenza di contenuti “politici”, con la P maiuscola nei testi di chi fa musica. Una volta si sarebbe detto “di lotta”.
A poche ore dallo sconvolgente scontro tra Zelensky e Trump alla Casa Bianca Galoni inizia con il brano scritto nel 2018 “L’America è Una Truffa” che dice così: “L’America è uno shuttle che fa ritardo e va a benzina. È la tua agenzia di viaggio per i weekend in Palestina”. Dopo l’orripilante video diffuso dal Presidente Usa in carica in cui si vede una fantomatica Trump Gaza Beach, il brano sembra scritto oggi ma ha sette anni.
I bravi cantautori hanno la qualità rara di mettere nero su bianco e in musica quelle sensazioni, quelle emozioni che ciascuno di noi prova ma a cui non sa dare un nome. Galoni è capace di fare esattamente questo.

Lo fa raccontando i terribili giorni del lockdown e del covid in “L’Esercizio Fisico di Piangere“: “Chiusi nelle case smussiamo gli angoli dei giorni persi dietro a cose inutili. Serve l'esercizio fisico di piangere, allenare gli occhi come fossero bicipiti serve a preservare mente, nervi e muscoli e a progettare una casa sopra gli alberi”. Boom.
Le storie di Galoni siamo tutti noi.
Siamo tutti “Gino” a cui “va tutto bene, a parte qualcuno che torna nero di mare e ti nega persino l'esistenza del sole”. “Lo dice a me poi - risponde Galoni nel brano - che esco di casa solo se piove”
Siamo tutti noi i frenetici della quotidianità per cui “sono le pause in mezzo alla fretta ciò che ci resta. Quello che conta non lo cerchiamo in quello che basta” da In Mezzo Alla Fretta.
Non solo parole e testi quelli di Galoni però, non vorremmo essere fraintesi. Emanuele non è “solo” un cantautore ma un musicista a tutto tondo che è figlio musicale dei suoi ascolti.
La musica, la struttura dei brani, gli arrangiamenti, il suono delle canzoni di Galoni arrivano da lontano. In Italia i richiami sono quelli del cantautorato classico ma anche quello più “moderno” di Samuele Bersani. C'è poi tanto songwriting di matrice anglosassone. C’è Springsteen con le sue ballate più ispirate e intime ma anche con le sue cavalcate country, c’è Nick Cave e la sua fragilità minimale, c'è soprattutto Matt Berniger con l'uso della voce e le pulsioni indie postrock tipiche dei suoi National.

Quasi due ore di concerto quelle di Galoni insomma, in un Monk infuocato che già aveva acceso a gennaio 2024 in apertura del tour. Tanti occhi lucidi in platea nelle sue ballad più dense - complice la pioggia incessante fuori - per venti canzoni in scaletta che riassumono oltre 15 anni di musica e canzoni. Sul palco con Galoni, tra gli altri, un altro cantautore Emanuele Colandrea qui a chitarra acustica e classica e ai cori.
La sensazione è stata quella di aver assistito più di altre volte al concerto spartiacque di un cantautore che molti apprezziamo da anni nel nostro "nicchione", quello di chi segue la musica bella e “oltre i soliti giri”. Chiamiamola come vi pare: alternativa, indie o underground. Emanuele Galoni sta superando il muro di gomma di questa nicchia, pur ampia, e ora resta da capire dove e come vorrà arrivare. Le carte per il grande salto ci sono tutte e il momento è propizio più che mai.
Chiamiamolo “effetto Lucio Corsi”, ma dopo il suo clamoroso exploit (forse persino eccessivo), la sensazione – o magari solo la speranza – è che media e pubblico mainstream stiano iniziando a prestare più attenzione alle cosiddette “cose nuove”, ed emergenti. Anche se, dopo tanti anni di carriera chiamarle ancora “emergenti” resta un mistero.
“Chi sarà il prossimo Lucio Corsi?” è la domanda che da qualche settimana viene posta a molti di noi "addetti ai lavori". Il classico next big thing, come dicono gli americani.
Una domanda che trovo al tempo stesso svilente e stimolante. Perché artisti come Corsi ed Emanuele Galoni sono sotto gli occhi di tutti da anni: basterebbe forse non essere pigri, alzare lo sguardo, aprire orecchie, cuore e mente. Parafrasando i buoni propositi di Galoni, "non è mai troppo tardi" per avere un minimo di curiosità i per scoprire questi artisti in tempo, invece di chiedersi solo dopo: “Dove erano nascosti?”.
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